Sentenza n. 104/2001

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SENTENZA N. 104

ANNO 2001

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dai Giudici dell'udienza preliminare dei Tribunali di Napoli e di Firenze con ordinanze emesse il 18 maggio 2000 e il 10 novembre 1999, iscritte rispettivamente ai nn. 493 e 598 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 44, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 18 maggio 2000 (r.o. n. 493 del 2000) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 1996, impongono al giudice che dichiari nel dibattimento di primo grado la propria incompetenza per territorio, ovvero al giudice di appello che annulli la sentenza di primo grado per incompetenza territoriale, la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, anziché direttamente a quest'ultimo, anche nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.

Il rimettente premette in fatto che la Corte di appello di Napoli, su impugnazione proposta dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia, aveva annullato la sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli e aveva disposto il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi allo stesso Tribunale. Quest’ultimo aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio, indicando come giudice competente il Tribunale di Nola, appartenente al medesimo distretto di Corte di appello, e trasmesso gli atti, ai sensi dell'art. 23 cod. proc. pen. come risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 1996, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Questi, in quanto titolare dell'azione penale a norma dell'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., reiterava la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli imputati al Giudice dell’udienza preliminare dello stesso Tribunale, competente ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen.

Investito di tale richiesta, il Giudice dell’udienza preliminare ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 cod. proc. pen., assumendo che nei procedimenti che hanno ad oggetto taluno dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. - per i quali le funzioni di pubblico ministero e di giudice per l'udienza preliminare sono esercitate rispettivamente dall'ufficio del pubblico ministero e da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente - il meccanismo di regressione processuale introdotto per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 1996 contrasta con gli artt. 3, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

Il rimettente ricorda che con la sentenza n. 76 del 1993 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 23, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo, e che successivamente con la sentenza n. 70 del 1996 la Corte ha esteso tale meccanismo di regressione processuale all’ipotesi di incompetenza per territorio, dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 23 cod. proc. pen. anche sotto tale profilo.

La ratio di quest’ultima pronuncia - da individuare, secondo il giudice a quo, nell'esigenza di tutela dell'imputato che si trovi, per una errata individuazione della competenza, ad essere rinviato a giudizio da parte di un giudice dell'udienza preliminare incompetente - non sarebbe applicabile nel caso di specie, in cui la competenza si è correttamente radicata già con la prima richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica in sede distrettuale innanzi all'ufficio del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, competente ex art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen.

Il giudice a quo osserva che nei procedimenti per i reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. la competenza territoriale acquista rilievo solo nella fase dibattimentale, in quanto le funzioni di pubblico ministero e di giudice dell’udienza preliminare sono attratte a livello distrettuale. In questi casi l'ufficio titolare del potere di azione è infatti unico per l'intero distretto e uno solo è il giudice territorialmente competente per la celebrazione dell'udienza preliminare.

Ne consegue, a giudizio del rimettente, che con riferimento ai procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. la regressione del procedimento imposta dalla sentenza n. 70 del 1996 <<finirebbe per consentire all'imputato la ripetizione di una fase di giudizio immune da vizi di sorta>>, con ciò dando luogo ad una disparità di trattamento <<in favore degli imputati giudicati in sede di udienza preliminare>>, i quali <<per un fatto indipendente e successivo alla celebrazione dell'udienza stessa, relativo cioè soltanto alla individuazione del giudice competente per il dibattimento>>, potrebbero godere di una restituzione in termini per operare le proprie scelte difensive, in particolare in ordine ai riti semplificati.

La trasmissione degli atti, prevista anche nel caso in esame al pubblico ministero presso il giudice competente, anziché direttamente a quest'ultimo, si porrebbe inoltre in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., secondo cui ogni processo deve svolgersi dinanzi ad un giudice terzo e imparziale, in quanto il giudice chiamato a celebrare l'udienza preliminare subirebbe una sorta di condizionamento per effetto delle <<decisioni di precedenti giudici (magari di grado superiore, come nel caso di specie che ha visto la pronuncia della Corte di appello), adottate a seguito di un procedimento totalmente immune da vizi>>.

Sarebbe inoltre violato l'art. 111, secondo comma, Cost., giacché la disciplina censurata è causa di una irragionevole protrazione della durata del procedimento.

1.2.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata, perché basata su un erroneo presupposto interpretativo.

 Secondo l'Avvocatura la situazione presa in esame dal rimettente sarebbe assolutamente estranea all'ambito di applicazione della sentenza n. 70 del 1996, in quanto quest'ultima deve intendersi riferita unicamente al caso in cui sia l'ufficio del pubblico ministero che aveva in precedenza esercitato l'azione penale, sia il giudice dell'udienza preliminare che aveva rinviato a giudizio l'imputato fossero incompetenti per territorio, poiché solo in questo caso si potrebbe determinare quel sacrificio del diritto di difesa dell'imputato che è alla base dell'intervento sostitutivo della Corte.

Nel caso di specie dunque, a parere dell'Avvocatura, dovrebbe trovare applicazione la disciplina dettata dal testo originario dell'art. 23 cod. proc. pen., e cioè la trasmissione degli atti al giudice competente.

2.- Con ordinanza del 10 novembre 1999 (r.o. n. 598 del 2000) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze ha sollevato, in relazione ad una fattispecie processuale simile alla precedente, analoga questione di legittimità costituzionale, riferita tuttavia al solo art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 98 (recte, 97), primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione.

Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione, il rimettente sottolinea come nel caso di procedimenti per delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., essendo la competenza del giudice per le indagini preliminari e per l'udienza preliminare fissata a livello distrettuale, la regressione del procedimento imposta dall'intervento della Corte costituzionale si risolva sostanzialmente nella ripetizione di una udienza già legittimamente svoltasi davanti al giudice naturale e nella quale le parti hanno potuto liberamente esercitare i propri diritti.

La disciplina censurata violerebbe, a giudizio del rimettente, in primo luogo il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto impone una <<ripetizione priva di valida ratio costituzionale>>.

In secondo luogo, secondo il giudice a quo, qualunque significato si attribuisca alla nuova celebrazione dell'udienza - la si intenda, cioè, come una mera ripetizione della precedente o come svolgimento ex novo della stessa con attribuzione di pieni poteri al giudice - si vengono a determinare situazioni tali da ledere l’indipendenza del giudice, in contrasto con l'art. 101, secondo comma, Cost.

Qualora si ritenesse che il giudice dell'udienza preliminare debba ripetere solo formalmente l'udienza, limitandosi <<a riprodurre pedissequamente i provvedimenti già assunti>>, si avrebbe <<un caso unico nell'ordinamento processuale di decisione vincolata>>, con l'ulteriore conseguenza che alle parti si dovrebbe negare la possibilità di esercitare ex novo diritti e facoltà già esercitati nella prima udienza preliminare. Diversamente, qualora si ritenesse che il giudice debba svolgere l’udienza preliminare con pienezza di poteri, l'attività giurisdizionale legittimamente svolta e i provvedimenti adottati in precedenza potrebbero venire travolti. In questo caso, precisa il giudice a quo, verrebbe lesa l'indipendenza del giudice della prima udienza preliminare, e quando, come nella specie, il procedimento regredisca per effetto di un annullamento della Corte di appello, il condizionamento si estenderebbe anche alle determinazioni assunte dal giudice di secondo grado, ben potendo il giudice chiamato a celebrare la nuova udienza emettere sentenze di non luogo a procedere relativamente a posizioni per le quali la Corte ha a suo tempo legittimamente disposto il rinvio a giudizio.

Tutto ciò, sottolinea il rimettente, senza che vi sia stata in realtà alcuna violazione del principio del giudice naturale, violazione che è invece alla base della sentenza n. 70 del 1996.

Nell'ordinanza si denuncia altresì il contrasto della disciplina censurata con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto la ripetizione di una udienza già legittimamente celebrata, <<senza alcuna necessità di salvaguardia di diritti e facoltà delle parti>>, sarebbe contraria al buon andamento degli uffici giudiziari.

Considerato in diritto

1.- Le questioni di legittimità costituzionale sottoposte all'esame della Corte hanno per oggetto gli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale (quest'ultimo censurato solo dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli), nella parte in cui, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 1996, impongono al giudice che nel dibattimento di primo grado dichiari la propria incompetenza per territorio, ovvero al giudice di appello che annulli la sentenza di primo grado per incompetenza territoriale, di trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, anziché direttamente a quest'ultimo, anche quando si procede per delitti per i quali, a norma degli artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, cod. proc. pen., le funzioni di pubblico ministero e di giudice per le indagini preliminari sono esercitate rispettivamente dall'ufficio del pubblico ministero e da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

 Entrambi i rimettenti premettono che nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. la competenza territoriale del giudice per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare è determinata a livello distrettuale, e rilevano che la regressione del procedimento imposta dalla sentenza n. 70 del 1996 della Corte costituzionale si risolverebbe in tale caso nella inutile ripetizione di una fase che si è già ritualmente svolta davanti al giudice naturale, ponendosi in contrasto con gli artt. 3, 101, secondo comma, 111, secondo comma (r.o. n. 493 del 2000), e 3, 101, secondo comma, 97, primo comma (r.o. 598 del 2000) della Costituzione.

In sostanza, sia pure con varie argomentazioni, i rimettenti lamentano che in tale ipotesi la regressione consentirebbe agli imputati di usufruire irragionevolmente di una sorta di restituzione in termini, per il solo fatto che il giudice del dibattimento ha diversamente individuato la competenza per territorio; determinerebbe una lesione dei principi di indipendenza e di imparzialità del giudice chiamato nuovamente a celebrare l'udienza preliminare, in quanto condizionato dalle precedenti decisioni di altri giudici adottate all'esito di un procedimento immune da vizi; comporterebbe una irragionevole protrazione della durata del procedimento e sarebbe contraria al buon andamento degli uffici giudiziari.

 Poiché le questioni sono sostanzialmente identiche, deve essere disposta la riunione dei giudizi.

2.- Le questioni sono infondate.

Gli artt. 23 e 24 cod. proc. pen. sono stati oggetto di tre sentenze di questa Corte, che ne hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui dispongono che, quando il giudice nel dibattimento di primo grado dichiara con sentenza la propria incompetenza ovvero quando il giudice di appello annulla la sentenza di primo grado per incompetenza, venga disposta la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest’ultimo (sentenze nn. 76 e 214 del 1993, n. 70 del 1996).

La Corte ha ravvisato nella disciplina censurata la violazione dell'art. 24 Cost. in quanto l’imputato non veniva posto in condizione di esercitare nell’udienza preliminare le facoltà connesse al proprio diritto di difesa; in particolare, nella sentenza n. 70 del 1996 la Corte ha rilevato come, a seguito dell'erronea individuazione del giudice territorialmente competente a celebrare l'udienza preliminare, l'imputato non aveva potuto accedere al rito abbreviato davanti al giudice naturale, per cui si poneva l'esigenza della regressione del procedimento.

Tale esigenza non ricorre evidentemente nei casi, come quelli dei giudizi a quibus, di procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., attratti alla sede distrettuale per quanto riguarda l'individuazione sia dell'ufficio del pubblico ministero incaricato delle indagini, sia del giudice dell'udienza preliminare competente ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen. In tali procedimenti la competenza territoriale infradistrettuale acquista dunque rilievo solo nella fase del dibattimento, mentre nelle fasi delle indagini e dell'udienza preliminare l'ufficio titolare dell'azione penale è unico per l'intero distretto e uno solo è il giudice territorialmente competente a celebrare l'udienza preliminare.

La ratio decidendi della sentenza n. 70 del 1996 può quindi riferirsi ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. solo ove sia messa in discussione la stessa competenza distrettuale, cioè nell’ipotesi in cui venga ritenuto competente un giudice dell’udienza preliminare di altro distretto. Ne deriva che la portata di tale decisione trova un limite nelle situazioni, quali quelle prese in esame nei giudizi a quibus, in cui l’imputato non è stato sottratto al proprio giudice naturale.

I rimettenti si sono invece basati sull’erroneo presupposto interpretativo che, anche nei casi in cui il rinvio a giudizio è disposto da un giudice dell’udienza preliminare ritualmente investito della competenza, la declaratoria di incompetenza pronunciata dal giudice del dibattimento debba comportare, alla stregua della sentenza n. 70 del 1996, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, anziché direttamente al giudice competente per il giudizio.

L’ambito applicativo della sentenza n. 70 del 1996 è, del resto, chiaramente definito nello stesso dispositivo, ove è dichiarata l'illegittimità delle norme censurate nella parte in cui prevedono "la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo", sul presupposto implicito di un pubblico ministero e di un giudice dell'udienza preliminare diversi da quelli che, rispettivamente, avevano esercitato l'azione penale e celebrato l’udienza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 101, secondo comma, 111, secondo comma, della Costituzione, dai Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali di Napoli e di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2001.